Il consumatore è veramente al centro quando si parla di sostenibilità?
Giugno 2022 – Sulla scia della celebrazione del 50° anniversario della Giornata Mondiale dell’Ambiente, Itscompostable è stato selezionato per presentare il nuovo articolo redatto da Mérieux NutriSciences:
“Il consumatore è veramente al centro quando si parla di sostenibilità?”.
Coerente con il tema del 2022 Only One Earth, questo articolo non poteva che essere pubblicato all’interno del sito internet di riferimento nel settore del packaging compostabile, ponendo al centro la questione del fine vita dell’imballaggio inserita nella quotidianità di ognuno di noi.
Di seguito vi riportiamo l’articolo completo:
Spesso nel settore del packaging quando si introducono concetti riguardanti la sostenibilità si affrontano tematiche relative ai materiali di cui l’imballaggio è costituito. Calcoliamo le risorse impiegate per produrlo, pesiamo il suo impatto sull’ambiente a fine vita e valutiamo quindi i punti di forza che ci permettono di classificarlo tra le alternative “sostenibili”.
In un sistema gestito, in cui possiamo sapere esattamente quali sono le materie prime e i processi che costituiscono il packaging, e in cui è anche stato ideato un sistema di raccolta e trattamento in impianti di recupero dedicati, ci sono comunque dei fattori “non scientificamente prevedibili” che influenzano la sostenibilità dell’imballaggio, perché possono modificare il corretto andamento del sistema stesso.
Tra questi un posto da protagonista ce l’ha il consumatore, che può diventare il motore della sostenibilità. Lo è quando acquista, riconoscendo le proprietà ambientali del prodotto e del suo packaging, e lo è anche quando lo deve buttare: solo conferendolo correttamente avvia gli scarti alla forma di trattamento/valorizzazione per cui erano stati pensati.
La percezione dei consumatori
Quali sono le leve che oggi ci fanno tanto parlare di sostenibilità del packaging?
La legge, sicuramente, che in Europa ha introdotto il riciclo, il riuso, la lotta al littering in maniera molto evidente. In accostamento a questo, il fatto che la sostenibilità sia entrata nella vita di tutti i cittadini, che sentono il problema della protezione dell’ambiente come una priorità anche per la propria vita personale e che di conseguenza muovono trend ed economia in questa direzione.
Un report del 2021 di Deloitte The Conscious Consumer (che raccoglie il parere di oltre 17.000 consumatori in 15 Paesi europei) ci dice che la sostenibilità è un criterio di scelta per il 70% dei consumatori.
Restando nel nostro Paese, l’ultima ricerca dell’Osservatorio Packaging del Nomisma conferma questa posizione: particolare attenzione a questo aspetto si rileva nell’acquisto di prodotti alimentari e bevande. E’ anche emblematico il dato del 64% del campione di intervistati, che dice di voler sapere di più riguardo alla sostenibilità dei prodotti.
Riassumendo, il consumatore è motore della sostenibilità perché può far girare un’economia così orientata, ed è anche anello indispensabile affinché i prodotti vengano correttamente utilizzati e poi riciclati o smaltiti: la sua percezione diventa quindi fondamentale.
In questa ricerca datata 2020, vediamo come ci siano delle tendenze comuni nella percezione del consumatore, indipendentemente dall’area geografica del mondo in cui si trovi: in azzurro i materiali considerati più sostenibili, in nero quelli meno.
I contenitori in metallo e alluminio, così come quelli in plastica riciclata vengono considerati poco sostenibili: ciò fa pensare che nei “non addetti ai lavori” la percezione derivi da una serie di esperienze ed immaginari che non sempre coincidono con il punto di vista dei tecnici.
Ecco che quindi probabilmente non si deve dare per scontato che di fronte a un nuovo prodotto, che sarà più sostenibile perché si inserisce in una precisa filiera di recupero, il consumatore agisca correttamente come attore di questo processo senza essere ben informato e senza averlo ben interiorizzato.
La chiarezza e la correttezza prima di tutto
La Commissione Europea ha recentemente fatto una proposta riguardo le regole da adottare per dare ai consumatori il potere sulle scelte consapevoli in tema di “green transition”.
Si mira a garantire che i consumatori possano fare scelte informate e rispettose dell’ambiente quando acquistano i loro prodotti. In particolare queste regole vogliono tutelarli contro affermazioni ambientali inaffidabili o false, vietando il “greenwashing” e le pratiche che ingannano sulla durata di un prodotto.
Lotta quindi alle informazioni fuorvianti: le scelte informate contribuiscono realmente a aumentare la sostenibilità dei prodotti.
La Commissione propone anche diversi emendamenti alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali: la lista delle caratteristiche del prodotto sulle quali non si può ingannare i consumatori è ampliata, per coprire l’impatto ambientale o sociale.
Si chiede di bandire affermazioni ambientali generiche e vaghe come “ecologico”, “eco” o “verde”, e di vietare claim ambientali sull’intero prodotto quando in realtà riguardano solo un certo aspetto. Se le dichiarazioni ambientali sono eque, i consumatori saranno in grado di scegliere prodotti che sono veramente migliori per l’ambiente rispetto ad altri sul mercato.
E nel mondo del packaging compostabile?
Riguardo a questo settore in particolare, una delle cose da chiarire verso il consumatore è se si trova davanti a un prodotto compostabile “industrial” o “home”, quindi di fatto se potrà conferirlo insieme all’umido da cucina nel bidone specifico – destinato al trattamento in impianto di compostaggio – oppure se è adatto anche alla compostiera domestica.
Per evitare fraintendimenti tra le due tipologie di compostaggio la Federal Trade Commission americana ha steso delle Linee Guida di corretto utilizzo dei claim ambientali. In tema di compostabilità, è necessario esplicitare bene il termine nel caso in cui un bene non sia compostabile a livello domestico: in caso si parli genericamente di prodotto compostabile, questo lo deve essere in entrambe le situazioni.
Anche i decreti francesi legati alla nuova normativa rifiuti, a partire dal 2016, in merito alla compostabilità, hanno sempre spinto verso la doppia qualifica, sia a livello industriale che domestico. Questo chiaramente può facilitare la vita dei consumatori, anche se la compostabilità dei prodotti è regolata da una serie di norme e/o di marchi di certificazione che fanno dei distinguo tra home e industrial.
Sono sempre chiari? Si va verso l’allineamento a livello globale?
Compostabilità: linee guida uguali per tutti?
Ciò che è compostabile in Italia, lo è in tutto il mondo? Se così fosse, tutto sarebbe più semplice, sia per i produttori che per i cittadini.
In realtà esistono diversi standard di compostabilità, ossia i metodi riconosciuti con cui si può eseguire questo test, che, seppur molto simili tra loro, possono comunque presentare delle differenze che non permettono di far valere il test per tutte le situazioni.
Per fare un esempio, in Europa è la EN13432 la norma applicabile ad imballaggi recuperabili tramite compostaggio industriale. La norma americana corrispondente, ASTM 6400, presenta delle differenze negli step di caratterizzazione chimica e biodegradabilità, mentre quella australiana AS4736 introduce il test di ecotossicità anche sui vermi, e non solo sulle piante, allo scopo di includere anche una valutazione del possibile impatto dell’uso del compost sugli animali del suolo.
Dal punto di vista formale quindi, ci sono delle differenze, di cui il produttore di packaging compostabile deve tener conto nel momento in cui vuole commercializzare il suo prodotto in varie parti del mondo.
Di contro dobbiamo dire che la struttura delle norme è molto simile: esse si basano su diversi step che simulano ciò che avviene in un reale processo di recupero in impianto di compostaggio. Gli Enti Certificatori, che dialogano fra loro, possono riconoscere come validi gli step basati sulle stesse regole.
In questa direzione sembra andare anche la Commissione Europea, che ha da poco chiuso una consultazione pubblica riguardo un quadro strategico sulle plastiche biobased, biodegradabili e compostabili. Sicuramente un approccio comune verso questo tema potrebbe semplificare le regole del mercato internazionale e aumentare la chiarezza di informazione verso il cittadino.
La “riconoscibilità” è uno dei requisiti previsti dalla Certificazione Europea di European Bioplastics – che rilascia ai prodotti compostabili il marchio Seedling – ma la giusta percezione, la “fama” che possono acquisire i marchi, la fruibilità verso la stragrande maggioranza dei cittadini, la si ottiene se questi loghi circolano allo stesso modo e con le stesse regole ovunque. Quindi un’uniformità di approccio verso queste plastiche potrebbe senz’altro aiutare.
In pratica, dove lo butto?
Questo è ciò che ci chiediamo tutti i giorni: una risposta pratica a concetti che a volte, riguardo la gestione del fine vita o i diversi materiali di cui è fatto il packaging, possono sembrare complessi.
Sapere con precisione che lo posso buttare nel bidone dell’umido o nella compostiera, già mi dà una informazione forte sul destino di quel packaging e sul suo essere sostenibile, mi istruisce su cosa ho davanti. Chiaro che, perché l’indicazione sia davvero convincente, deve avere senso.
Cosa di meglio che gettare nel bidone dell’umido le bustine di the, le capsule con il caffè, le posate sporche di cibo, i sacchetti che hanno contenuto alimenti?
Ciò che uso in cucina, che ha residui di cibo, nell’idea comune si associa bene con la raccolta differenziata dell’umido organico. Questa percezione del “cittadino medio” è quella che poco prima abbiamo giudicato importante, visto che si è detto che il consumatore è uno degli ingranaggi che può far funzionare il corretto ciclo di utilizzo e smaltimento del prodotto.
Quali oggetti produrre in materiali compostabili?
La sensazione che i packaging e i beni che vengono a contatto con il cibo possano trovare un risvolto positivo nella compostabilità, trova riscontro anche in alcuni studi ufficiali condotti dalla Comunità Europea.
Il report EUNOMIA per la Commissione Europea del Marzo 2020 propone dei criteri per identificare le applicazioni per le quali il compostaggio come fine vita potrebbe essere vantaggioso.
Quando la compostabilità può essere un vantaggio ambientale?
- SE il prodotto non è riciclabile o riutilizzabile
- SE aumenta l’intercettazione del rifiuto organico
- SE studi LCA dimostrano che è il materiale preferibile
- SE NON si riduce la qualità del compost finale
Lo stesso anno il Gruppo dei Chief Scientific Advisors della Commissione Europea ha sviluppato una serie di criteri per valutare quali prodotti e utilizzi della plastica biodegradabile possono offrire vantaggi ambientali rispetto alla plastica tradizionale.
Sembra emergere come il “make sense” dell’applicazione biodegradabile non debba essere chiaro solo dal punto di vista tecnico, ma compreso anche da tutte le persone che l’utilizzeranno.
Sono di particolare rilievo le raccomandazioni che ne derivano:
- Le plastiche biodegradabili non sono una soluzione al littering; riconducendoci a quanto espresso in precedenza, vorremmo leggere questa affermazione come una forte presa di posizione sul fatto che l’educazione, l’informazione e la comunicazione ai cittadini è prioritaria per la sostenibilità.
- Supportare la diffusione e lo sviluppo di standard adeguati per testare la biodegradabilità; seguire standard scientifici ed organizzativi riconosciuti significa proteggere la propria azienda e avere dei risultati realmente comparabili, a favore della chiarezza nei confronti dei consumatori e contro il greenwashing.
- Informare consumatori e produttori sul corretto uso e conferimento finale delle plastiche biodegradabili.
Comunicare il compostaggio è comunicare la natura
In tutti i campi delle scienze, guardare la natura, studiandola, ha permesso negli anni di comprenderne le dinamiche e di poterle sfruttare a nostro vantaggio.
La biodegradabilità avviene in natura tutti i giorni per opera fisica, chimica e microbiologica. Studiarla e sfruttarla ha permesso finora di gestire sistemi di gestione del verde pubblico e degli scarti organici via compostaggio.
La sfida è quella di applicarla al packaging e ai beni di consumo facendo vedere queste potenzialità a tutti i consumatori: il fatto che il primo esempio viene dalla natura dovrebbe rendere l’impresa meno ardua.
L’altra sfida è restare aperti e dinamici in questa comunicazione. La stessa scienza che ci permette di capire la natura ci ha mostrato traguardi insperati fino a qualche anno fa:
quel che non era riciclabile oggi lo è……nel futuro cosa avverrà per il compostabile e per le sue forme di recupero?
Il nostro progetto è nato dall’unione di cinque eccellenze tecnologiche italiane che lavorano in sinergia per l’innovazione del packaging in ottica sostenibile e circolare: Novamont, leader nella produzione di bioplastiche, Ticinoplast, innovatori tecnologici di film in bolla per il mercato del packaging flessibile, SAES Coated Films, specializzati nella deposizione a base acqua di coating ad alta barriera, Sacchital Group, specialisti in ecodesign per il packaging flessibile e IMA Flexible Packaging Hub, progettisti e produttori di macchine per il confezionamento con film flessibile.